Le antiche cronache documentano i contagi ciclici, in media ogni otto-dodici anni, che nei secoli dal XIV al XVII colpirono con impressionante violenza il territorio trentino. Nel Medioevo con la parola peste che deriva dal latino pestis, (distruzione, rovina, epidemia) si designavano molti morbi contraddistinti dall’alta percentuale di decessi e dalla loro propagazione, come ad esempio il colera, il morbillo o il vaiolo. Non è dato di sapere quale sia stata la malattia che causò l'epidemia che nel XV secolo sconvolse Tuenetto. Tuenetto è legato alla peste per via di una popolare leggenda che lo racconta interamente distrutto durante una di quelle terribili epidemie. La leggenda è ricordata in Malgolo nella Pieve di Torra di don Giovanni Battista Menapace parroco di Torra dal 1887 al 1891, che scrive:
«Tuennetto, villaggio distante pochi minuti da Mollaro, sia stato pressoché totalmente distrutto dalla peste, non essendo rimasta salva che una sol donna, che in que’ paurosi frangenti andò a nascondersi in una spelonca: si dice poi, che quella donna, maritatasi poscia con un cotal Marchiore o Melchiore, che era al servizio dei Conti di Castel Brughiero, ripopolò quel paesello». [G.B. Menapace - Malgolo nella Pieve di Torra – pag. 158-159]
Don Menapace, trattando in quel suo saggio della storia della famiglia e del villaggio di Malgolo nella pieve di Torra, si interrogò sull'epoca in cui sarebbe accaduta quell'epidemia e in base alle sue congetture concluse che poteva essere collocata tra il 1406 e il 1411. Senonché un documento fornito al Parroco Mwenapace dal Professor Desiderio Reich, documenta una pestilenza nella Pieve di Torra nell'anno 1440. E così continua scrivendo:
Il quando è ben difficile averlo dalla tradizione popolare, ma tenendo conto della vicinanza di Tuenetto con Mollaro, che è diviso da una valletta, e dall'essere S. Rocco il Titolare della cappella di Tuenetto, ché il culto di S. Rocco non si propagò e divenne popolare che dopo il famoso concilio di Costanza (1414-1418), sono inclinato a credere che la strage di Tuenetto sia stata contemporanea a quella di Mollaro (1440).
Don Menapace, (senza dar gran peso alle circostanze del matrimonio della donna di Tuenetto che sposò un tal Melchiorre), dà quindi per certo che una pestilenza ci fu davvero a Tuenetto e che con ogni probabilità accadde nel 1440 (o lì intorno) in concomitanza con quella che distrusse Mollaro. Il documento sunnominato è datato 29 aprile 1440 ed è conservato presso il Tiroler Landesarchiv a Innsbruck, e di questo ne dà conto pure Vigilio Inama nella sua «Storia delle Valli di Non e Sole» a pag. 210. Si tratta di una lettera nella quale Daniele di Mollaro rivolgendosi al Principe Vescovo lo prega di rivedere le decime dovute dalla villa di Mollaro in quanto era ridotta a causa della peste a tre sole famiglie (...restricta est ad tres focos fumantes). Si riporta qui la nota in calce al testo di Vigilio Inama: In un docum. Del 29 Aprile 1440 (I Archiv. Lat. Trentino IX, 67 in Innsbruck) il rappresentante degli abitanti di Molàro, pieve di S.Eusebio, Daniele de Molario espone:
Villa ipsa Molarii, quae comuni opinione forsan tenuit ultra viginti focos fumantes; in desciptione focorum protunc descriptorum posita fuit et descripta pro septem focis cum dimidio ad collectas solvendas episcopatui et ita hactenus ipse cum aliis suis predecessoribus pro septem focis cum dimidio persolvit et contribuit. Quae quidem villa propter pestem persepius invadentem illam et forsan alias causas hodie… redacta, deducta et restricta est ad tres focos fumantes et tamen non obstante tanta diminucione ipsorum focorum ipsi tres foci a suis plebeis et aliis officialibus nostris (del vescovo) coguntur contribuere pro septem cum dimidio, non solum in ordinariis sed etiam in omnibus pubblicis funcionibus realibus et personalibus impositis in dicta villa. ―
Quelli di Mollaro, tramite Daniele de Molario, ricorrono al Patriarca d’Aquileia Alessandro, al quale allora era subordinato il vescovato di Trento, per essere esonerati dal pagamento delle collette in più di quanto avrebbero effettivamente dovuto. Il patriarca fece esaminare la cosa da una commissione, e concluse di concedere che per dieci anni pagassero le imposte straordinarie in ragione di tre fuochi, ma quelle ordinarie in ragione di sette e mezzo. Concludiamo con una considerazione: la leggenda è viva nella tradizione di una comunità proprio perché ha origine da un fatto realmente accaduto. E tuttavia l’assenza di notizie specifiche riguardanti questo avvenimento porta il benemerito don Giovanni Battista Menapace ad esprimere l'auspicio che anche noi sottoscriviamo
"Bujo pesto su queste ed altrettali domande, se la pazienza degli amatori delle cose patrie non approderà a rinvenire documenti fin qui sconosciuti, forse giacenti nella polvere, mezzo guasti e corrosi dal tempo, e dalla tignuola, documenti che dian luce al loro felice scioglimento!..." .
San Rocco protettore degli appestati sulla facciata della chiesa di Tuenetto
Al capezzale dell’appestato con una spugna imbevuta di aceto sulla bocca